Prince of Persia: Le sabbie del tempo (2010)
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Prince of Persia: Le sabbie del tempo (2010)
Prince of Persia: Le sabbie del tempo
Nei territori dell'antica Persia, il piccolo Dastan è un orfano che viene sorpreso dalle guardie imperiali a rubare una mela al mercato. Presente alla scena, il re Sharaman nota con ammirazione il coraggio e l'incredibile destrezza del ragazzo, decidendo così di risparmiargli la mano e di accoglierlo a palazzo. Sedici anni dopo, Dastan viene considerato un nobile principe di Persia assieme ai due diretti discendenti del re, Tus e Garsiv, anche se le sue abitudini restano quelle di un ragazzo del popolo. Quando lo zio Nizam annuncia che nella città santa di Alamut vengono nascoste armi per i nemici della Persia, i tre principi conducono un attacco alla città e la espugnano grazie soprattutto all'intervento di Dastan. La principessa di Alamut, la bella Tamina, respinge le accuse dell'esercito invasore, ma le sue maggiori preoccupazioni sono rivolte verso un pugnale dal manico in vetro sottratto durante la battaglia dal giovane principe.
Da quando la Disney ha deciso di sopperire al declino delle sue opere d'animazione lavorando in sinergia con il produttore di blockbuster Jerry Bruckheimer, la sintesi chimica che ne è venuta fuori ha visto unirsi il tocco magico delle fiabe con la frenesia adrenalinica di Bad Boys, il fantastico più mirabolante con il muscolare più spinto. Così, dopo la riscoperta del genere piratesco in funzione fantasy dei Pirati dei Caraibi e la caccia al tesoro intorno al mondo de Il mistero dei Templari, Disney e Bruckheimer lanciano un nuovo possibile franchise che attinge in parti uguali dal romanticismo delle avventure esotiche, dal mondo dei videogiochi e dai loro stessi patrimoni.
La fonte d'ispirazione videoludica è un brand che permette di sviluppare una continuità tanto con l'universo di Topolino che con il fantasy-action più moderno: il principe Dastan di Jake Gyllenhaal è un Aladdin in carne e ossa dotato di un'agilità e una capacità di destrezza consentite unicamente dalla mobilità di un joypad, così come la storia magica che consente di riavvolgere il tempo e di scatenare un vero e proprio Armageddon di fuoco, vento e sabbia, pare fuoriuscire direttamente da un roboante finale di un'avventura disneyana. Non potendo contare né sul simpatico carisma del Capitan Sparrow, né sugli enigmi nascosti nella Storia statunitense, Mike Newell spinge al massimo le dinamiche apprese sul set di Harry Potter e gioca sul continuo incalzare delle azioni. La prevalenza di piani stretti, il montaggio ipercinetico, perfino le schermaglie amorose di Dastan e Tamina fra una sequenza d'azione e l'altra: tutto è finalizzato a mantenere il fiato corto e a tenere alte le soglie dei sensi. Ma non è solo la componente dinamico-estetica a cercare di mantenere il passo accelerato della contemporaneità, ma anche la politica, che vede l'esercito del regno invadere una roccaforte iraniana perché sospettata di nascondere armi delle forze ribelli e un bislacco sceicco proprietario di struzzi da corsa lamentarsi della situazione dei piccoli imprenditori. È però la grana grossa di questi vari elementi a rischiare di inceppare la clessidra del film e a non permettere a questa rivisitazione sinceramente (video)ludica de “Le mille e una notte” di scorrere fluidamente.
Anche se Prince of Persia cerca attraverso l'esuberanza di esercitare una pressione costante, è la mancanza di un'omogeneità fra le varie sequenze e nelle dinamiche fra i personaggi (con la sola eccezione di Gyllenhaal e della Arterton) a non dar vita ad uno spettacolo integro e pienamente appassionante. L'atteggiamento spavaldo e rutilante si impegna da solo a lasciare il segno, ma alla fine pare proprio che il destino della propria avventura sia scritto sulla sabbia.
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Da quando la Disney ha deciso di sopperire al declino delle sue opere d'animazione lavorando in sinergia con il produttore di blockbuster Jerry Bruckheimer, la sintesi chimica che ne è venuta fuori ha visto unirsi il tocco magico delle fiabe con la frenesia adrenalinica di Bad Boys, il fantastico più mirabolante con il muscolare più spinto. Così, dopo la riscoperta del genere piratesco in funzione fantasy dei Pirati dei Caraibi e la caccia al tesoro intorno al mondo de Il mistero dei Templari, Disney e Bruckheimer lanciano un nuovo possibile franchise che attinge in parti uguali dal romanticismo delle avventure esotiche, dal mondo dei videogiochi e dai loro stessi patrimoni.
La fonte d'ispirazione videoludica è un brand che permette di sviluppare una continuità tanto con l'universo di Topolino che con il fantasy-action più moderno: il principe Dastan di Jake Gyllenhaal è un Aladdin in carne e ossa dotato di un'agilità e una capacità di destrezza consentite unicamente dalla mobilità di un joypad, così come la storia magica che consente di riavvolgere il tempo e di scatenare un vero e proprio Armageddon di fuoco, vento e sabbia, pare fuoriuscire direttamente da un roboante finale di un'avventura disneyana. Non potendo contare né sul simpatico carisma del Capitan Sparrow, né sugli enigmi nascosti nella Storia statunitense, Mike Newell spinge al massimo le dinamiche apprese sul set di Harry Potter e gioca sul continuo incalzare delle azioni. La prevalenza di piani stretti, il montaggio ipercinetico, perfino le schermaglie amorose di Dastan e Tamina fra una sequenza d'azione e l'altra: tutto è finalizzato a mantenere il fiato corto e a tenere alte le soglie dei sensi. Ma non è solo la componente dinamico-estetica a cercare di mantenere il passo accelerato della contemporaneità, ma anche la politica, che vede l'esercito del regno invadere una roccaforte iraniana perché sospettata di nascondere armi delle forze ribelli e un bislacco sceicco proprietario di struzzi da corsa lamentarsi della situazione dei piccoli imprenditori. È però la grana grossa di questi vari elementi a rischiare di inceppare la clessidra del film e a non permettere a questa rivisitazione sinceramente (video)ludica de “Le mille e una notte” di scorrere fluidamente.
Anche se Prince of Persia cerca attraverso l'esuberanza di esercitare una pressione costante, è la mancanza di un'omogeneità fra le varie sequenze e nelle dinamiche fra i personaggi (con la sola eccezione di Gyllenhaal e della Arterton) a non dar vita ad uno spettacolo integro e pienamente appassionante. L'atteggiamento spavaldo e rutilante si impegna da solo a lasciare il segno, ma alla fine pare proprio che il destino della propria avventura sia scritto sulla sabbia.
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