StreetDance 3D SUBITA (2011)
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StreetDance 3D SUBITA (2011)
StreetDance 3D SUBITA (2011)
Carly coltiva da sempre il sogno di esibirsi in una grande competizione di street dance con la sua crew di amici ballerini. Quando il gruppo riesce finalmente ad accedere alle finali inglesi, Jay, fidanzato di Carly nonché vera anima della crew, decide di abbandonare temporaneamente l'hip-hop e di lasciare il destino della gara in mano a Carly e alle sue coreografie. Senza Jay, la giovane breakdancer incontra grandi difficoltà a tenere unito il gruppo e a trovare gli spazi adatti per provare, finché un giorno consegna un sandwich a Helena Fitzgerald, insegnante in una prestigiosa scuola di danza londinese, che le propone di utilizzare le aule dell'edificio a patto di introdurre nella coreografia alcuni dei suoi ballerini di danza classica.
Non è prerogativa dell'era dei talent show lasciar vagare i sogni a passo di danza. Se nell'epoca del musical classico bastava un movimento più leggiadro o un passo più vivace a segnare l'ingresso nel mondo dei desideri e della fantasticheria, il cinema giovanile impiega ritmi più incalzanti e movimenti più aggressivi per esprimere in fondo lo stesso desiderio di ambizione e lo stesso innato spirito ingenuo e sognatore. È la lezione di cui Streetdance sembra farsi portatore e da cui trae maggior beneficio. Rispetto alle varianti americane dei vari Step Up, Ballare per un sogno e Save the last dance, dove all'interno di una storia di piccoli drammi e grandi sentimentalismi si inserivano sequenze di danza acrobatica e ballo hip-hop, questo cugino britannico si costruisce invece come un lungo insieme di coreografie spettacolari e numeri funambolici, con qualche momento romantico di raccordo e pochi dialoghi a far da sutura. Le scarsissime pretese narrative permettono così ai giovani breakers di dimenarsi più liberamente e ai due registi di costruire un nuovo spazio e una profondità ulteriore per accogliere tutta la spavalderia delle prodezze coreografiche. Non solo, ma, pur riutilizzando un cliché divenuto ormai normativo in questo tipo di produzioni (la necessità di incrociare danza classica e freestyle hip-hop, tecnica e metodo contro improvvisazione e impeto), Streetdance si rivela capace di mixare in maniera efficace i due movimenti, sia sul piano visivo che sonoro, integrando in un gran finale la “Danza dei Cavalieri” di Prokofiev con i sintetizzatori del funky da dancehall, le piroette e le arabesque con le powermoves dei B-boys.
Novamov
Carly coltiva da sempre il sogno di esibirsi in una grande competizione di street dance con la sua crew di amici ballerini. Quando il gruppo riesce finalmente ad accedere alle finali inglesi, Jay, fidanzato di Carly nonché vera anima della crew, decide di abbandonare temporaneamente l'hip-hop e di lasciare il destino della gara in mano a Carly e alle sue coreografie. Senza Jay, la giovane breakdancer incontra grandi difficoltà a tenere unito il gruppo e a trovare gli spazi adatti per provare, finché un giorno consegna un sandwich a Helena Fitzgerald, insegnante in una prestigiosa scuola di danza londinese, che le propone di utilizzare le aule dell'edificio a patto di introdurre nella coreografia alcuni dei suoi ballerini di danza classica.
Non è prerogativa dell'era dei talent show lasciar vagare i sogni a passo di danza. Se nell'epoca del musical classico bastava un movimento più leggiadro o un passo più vivace a segnare l'ingresso nel mondo dei desideri e della fantasticheria, il cinema giovanile impiega ritmi più incalzanti e movimenti più aggressivi per esprimere in fondo lo stesso desiderio di ambizione e lo stesso innato spirito ingenuo e sognatore. È la lezione di cui Streetdance sembra farsi portatore e da cui trae maggior beneficio. Rispetto alle varianti americane dei vari Step Up, Ballare per un sogno e Save the last dance, dove all'interno di una storia di piccoli drammi e grandi sentimentalismi si inserivano sequenze di danza acrobatica e ballo hip-hop, questo cugino britannico si costruisce invece come un lungo insieme di coreografie spettacolari e numeri funambolici, con qualche momento romantico di raccordo e pochi dialoghi a far da sutura. Le scarsissime pretese narrative permettono così ai giovani breakers di dimenarsi più liberamente e ai due registi di costruire un nuovo spazio e una profondità ulteriore per accogliere tutta la spavalderia delle prodezze coreografiche. Non solo, ma, pur riutilizzando un cliché divenuto ormai normativo in questo tipo di produzioni (la necessità di incrociare danza classica e freestyle hip-hop, tecnica e metodo contro improvvisazione e impeto), Streetdance si rivela capace di mixare in maniera efficace i due movimenti, sia sul piano visivo che sonoro, integrando in un gran finale la “Danza dei Cavalieri” di Prokofiev con i sintetizzatori del funky da dancehall, le piroette e le arabesque con le powermoves dei B-boys.
Novamov
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